Racconto di viaggio – Sul delta del Mekong
Dov’è finito il grigio? Forse Dio l’aveva finito quando disegnò questa terra? Forse è stato risucchiato tutto dalle città? Forse si è sciolto in un’ondata di piena del fiume e se ne è andato per sempre?
Qualunque sia la risposta, la sua assenza è evidente, così come il mio non sentirne la mancanza.
Per un pittore impressionista ritrarre il paesaggio che mi sta attorno sarebbe un gioco da ragazzi: una grande striscia blu dipinta di innocue macchioline bianche nella parte alta della tela, una del marrone più marrone che c’è in basso, e una sottile, verde, nel mezzo. A volte la strisciolina verde diventa improvvisamente grande, fino a occupare quasi tutta la scena, per poi tornare piccola piccola e lasciare spazio al blu e al marrone.
E’ il paesaggio che mi scorre davanti per otto ore, mentre io, sul retro della giunca che solca il Mekong, mi crogiolo sull’amaca. Ho trovato per puro caso una barca diretta verso la cittadina dove voglio andare. Fa la spola solo due giorni alla settimana, e io sono capitato in uno di quelli. Non ci sono altri passeggeri. Trasportiamo sacchi di riso, farina, verdura, frutta, pacchi di vario genere, uova, e alcuni polli vivi. Due ragazzi guidano a prua, io sull’amaca, in poppa.
Un luogo che sembra un paradiso, che io sto visitando nella sua stagione migliore.
Solo un paio di mesi prima, le nuvolette bianche, che ora dipingono artisticamente il cielo blu elettrico, si gonfiavano per rovesciare secchiate d’acqua sul fiume, sulle palme, sulle capanne e sulla gente. Questo paradiso era il regno di tanti Noè e delle loro arche, prima di tornare ad essere l’Eden che vedo io.
A volte il raggiungere la destinazione è la parte più bella del viaggio, e questa giornata di navigazione sul fiume ne è un esempio perfetto. Navighiamo lungo ampi canali, che a volte si fanno minuscoli, stretti dall’abbraccio delle palme. Poi ci buttiamo su uno dei rami più grandi del fiume, e allora le palme si fanno nuovamente piccolissime, lasciando spazio ai soli blu e marrone che sembrano volersi unire all’orizzonte.
Ci fermiamo in alcuni villaggi per scaricare riso e farina, caricare altra merce e ripartire per la tappa successiva. Tutto con molta calma, come vuole il costume locale. Il viaggio in teoria dura 5 ore, ma ormai ho capito come è relativo il tempo in questo paese, e so che porterà via molto di più. Non ho fretta, e pare non abbia fretta il ragazzo al timone. Circa a metà strada ferma la barca, spegne il motore e si tuffa nel marrone. Lo sento strofinarsi, poi esce, si rovescia un pentolino d’acqua più pulita. Quell’acqua marrone, a seconda delle circostanze, diventa doccia, fogna, lavatrice o lavastoviglie.
Arrivati alla meta devo abbandonare quel trittico di colori al quale ormai sono affezionato, ma il grigio continua a non farsi vedere.
Ogni città, paese, o villaggio, ha il proprio mercato alimentare, un tripudio di sapori e odori, ma soprattutto di colori. Ci sono tutti, un arcobaleno vegetale fatto di verdure e frutti che nemmeno riconosco.
Passo diverse ore al giorno a passeggiare tra i mercati, che oltre alla terapia del colore offrono uno spaccato di vita quotidiana che vale mille volte la visita ad un museo o al vecchio palazzo coloniale.
Alla fine della giornata i colori si spengono, ma non prima di dare l’ultimo spettacolo, forse il più bello. Il sole, quasi volesse congedarsi con un saluto, o scusarsi dell’andarsene via, si tuffa nel fiume, o dietro le palme, infuocando il cielo all’orizzonte. Non ci sono più il blu e il marrone, ma il rosso e il rosa con tutte le loro possibili tonalità. Finito lo show, è ora di andare in cerca di un posto dove sedersi a tavola e fare indigestione di tutti quei colori ammirati al mercato. Vorrei potere sorseggiare un bel bicchiere di marrone. Ripiego sul biondo della birra Saigon.
La mattina successiva tutto riparte all’esatto contrario.
Il sole sorge e regala una secchiata di rosso nel cielo, per poi cedere il passo al blu e al marrone, e all’arcobaleno dei mercati in strada o galleggianti sull’acqua.
Finché posso, voglio starmene qui il più a lungo possibile. I giorni volano via senza tempo. L’itinerario classico nel Vietnam prevede in genere in corsa da nord a sud fermandosi brevemente nei mille posti che meritano attenzione. Qualche volta ho viaggiato anch’io rimbalzando come una molla di città in città, ma questa volta decido di vedere solo un pezzetto dei paese, di seguire un ritmo lento, come lo scorrere limaccioso dell’acqua tra i canali. Un giro in barca la mattina, una visita al mercato, e nel pomeriggio una corsa in bicicletta tra la pianura o lungo le isole fluviali. Potrei fermarmi qui a oltranza.
Quando giunge il momento di andarsene, vorrei portare via qualche tubetto di quei colori per spruzzarli qui e là nella mia città. Temo però che non basterebbe, e mi accontento di una lanterna gialla che illuminerà la mia stanza ricordandomi di questo viaggio. Quando ne sentirò la mancanza, quando il grigio cercherà di sbiadire i colori che porto ancora negli occhi e continueranno a vivere nei miei ricordi, la soluzione sarà una sola: prendere un aereo e puntare verso est.