Racconto di viaggio – Inverno in Transilvania
La Transilvania d’inverno è fredda e desolata. Vago con un’auto a noleggio tra i paesini su cui si è posata una sottile crosta di ghiaccio. La macchina scivola nelle stradine e io scivolo a mia volta, nonostante le scarpe da trekking. Entro nel bar in un villaggio abbandonato nella campagna. Tre signori sono seduti su tre sedie in tre tavoli diversi. Fanno colazione, uno con una tazza di té, gli altri due con una birra. Interrompono la loro conversazione e mi scrutano da testa a piedi. Fanno un cenno di accomodarmi, senza rivolgermi la parola. Osservo il grande naso deformato di quello vicino a me che ogni tanto mi fissa negli occhi. Mi sembrano persone cristallizzate lì da decenni, nei loro cappotti d’altri tempi, lisi e scoloriti. I visi sono solcati da rughe profonde e scure come le loro grosse mani. Arriva una signora coperta da una grossa giacca e un foulard colorato in testa. Si siede e prende in mano la conversazione. Fuori il paesaggio è in soli toni di bianco e grigio chiaro, dalla neve per terra alla nebbia che nasconde il cielo e scolorisce le casette colorate. Passeggio nei villaggi incontrando solo cani, che ai lati della strada abbaiano alle auto di passaggio.
Il castello di Bran è stato rappresentato in infiniti quadri e rappresentazioni, da mille angolazioni diverse, sempre seminascosto da alberi neri e sotto la luce sinistra della luna piena. Immagini degne della fama del conte Dracula. Ci si arriva però da Brasov percorrendo con una statale che gira intorno alla collina. Alla base, bancarelle turistiche con souvenir draculiani di ogni tipo. Il mistero pare intrappolato solo nella leggenda. All’interno stanze curate e luminose ne fanno una dimora più da favola che da storia horror.
Il mio ricordo della Transilvania rimarranno i paesini nella neve, i carretti trainati dai cavalli che slittano sul ghiaccio, i trattori scrostati in attesa della primavera, un cane che mi scruta e io che passeggio in cerca di una locanda dove riscaldarmi.