Viaggio in Giappone

Racconto di viaggio


Racconto di viaggio: Izakaye giapponesi

In Giappone le città sono invivibili. In Giappone la gente vive nello stress. In Giappone costa tutto tantissimo. In Giappone la vita non si ferma mai. In Giappone non c’è tempo per dormire, e se si dorme lo si fa in loculi che sembrano tombe. In Giappone la gente legge fumetti, manga, e gioca al pachinko. In Giappone le persone sono timide. In Giappone la gente passa la vita a scattare fotografie. In Giappone la gente pratica strane arti marziali. In Giappone le donne sono geishe. In Giappone gli uomini sono samurai o kamikaze. In Giappone le pulizie di casa le fanno i robot. In Giappone la gente viene schiacciata nella metropolitana da persone chiamate “pressatori”. In Giappone tutto è veloce. In Giappone tutto è tecnologico. In Giappone tutto è zen.
Sul Giappone ci sono tantissimi luoghi comuni. Ho viaggiato attraverso il sol levante delle fredde terre del nord ai mari smeraldi di Okinawa, e mi sono fatto i miei.
Vi lascio il Giappone tecnologico, che poi tutto tecnologico non è. Il water però sì, con un computer che comanda il bidè integrato con la tazza; il menu è scritto in ideogrammi, e non basta un po’ di fantasia per intuirne il significato.
Vi lascio il Giappone dalle città sovraffollate. Milioni di persone stipate come sardine, che si muovono però con un ordine che non fa avvertire il peso della folla. Folla che poi in certi punti si dissolve, senza che si possa capire dove si siano cacciate tutte le persone.
Vi lascio il Giappone delle macchinette automatiche, delle sale giochi, dei fumetti e dei manga. Vi lascio anche i templi, con i gong che si risuonano e le preghiere appese al vento.
Vi lascio il Giappone dei robot, che poi di robot mica se ne vedono in giro tanti: al mercato non ci sono androidi che distribuiscono transistor, bensì persone in carne ed ossa che vendono cibo e vestiti.
Vi lascio il Giappone del sumo, vi lascio anche le terme, o meglio “onsen” come li chiamano loro, e i capsula-hotel dove si dorme in un metro quadrato.
Vi lascio tutto e mi chiudo nell’izakaya!
Ma che cosa è l’izakaya? E’ il pub giapponese, per me la vera anima del paese. Spesso è piccola come gli appartamenti delle grandi città, e all’interno c’è il solo bancone con gli sgabelli.
In Giappone la vita notturna è folle. In Giappone ci sono locali dove gli uomini d’affari pagano una tariffa oraria per bere in compagnia di giovani ragazze le cui foto sono esposte all’esterno del locale. C’è anche il contrario, cioè locali dove le donne pagano una tariffa oraria per bere in compagnia di giovani ragazzi le cui foto sono esposte all’esterno del locale.
La gente lavora, anche troppo a quanto pare, ma la sera esce e si riversa per le strade e nei quartieri dei divertimenti.
I Giapponesi amano mangiare fuori, e anche bere, più di quello che potessi immaginare. Nell’izakaya scorrono fiumi di birra, sake e sochu. C’è anche il sake con l’habu, il serprente velenoso di Okinawa, estremamente afrodisiaco secondo la leggenda locale.
Dall’izakaya esco sempre “yopparata”, vale a dire “ubriaco”. Cerco di entrare sempre in izakaye dove l’insegna e il menu non sono in inglese, e ordinare un piatto diventa un terno al lotto. Punto il dito a caso sul piatto con gli ideogrammi che mi stanno più simpatici e poi osservo cosa arriva. In genere tofu, una delle poche cose che non mi fanno impazzire, ma che deve avere qualche ideogramma che attrae particolarmente il mio inconscio.
Dall’izakaya esco sempre “yopparata” e con la bocca che sa di tofu.
In Giappone non si può fumare in strada, ma si può fumare nei locali e nelle izakaye. Dall’izakaya esco sempre “yopparata”, con la bocca che sa di tofu, e con i vestiti impregnati di fumo. Nelle izakaye spesso nessuno parla inglese. Mi porto sempre dietro il frasario italiano-giapponese. I giapponesi sono felici di vedere uno straniero che conosce un po’ di frasi nella loro lingua. Ogni quattro parole in giapponese mi guadagno una birra o un sake. Dall’izakaya esco sempre “yopparata”, con la bocca che sa di tofu, con i vestiti impregnati di fumo, e con qualche nuovo amico.
Fuori dall’izakaya, i più “yopparata” vacillano e si sorreggono ai pali. Io esco dall’izakaya e vacillo tra i corridoi di un minimarket, bramando per della frutta che possa farmi smaltire i fumi del sake.
Anche a Kyoto, la capitale della cultura, non mancano le izakaye, in numero probabilmente ben superiore a quanti sono i templi. Molti giapponesi si recano in quest’ultimi giusto per ingraziarsi le divinità affinché queste facciano andare bene i loro affari. Io passeggio curiosando in giro, e fotografo i brandelli di zen rimasti.
La giornata volge al termine e le izakaye accendono le loro lanterne rosse e gialle. In un villaggio di pescatori, nella grande metropoli industriale, o nella capitale culturale, le lanterne davanti alle izakaye sono sempre le stesse. Anche l’atmosfera all’interno è sempre la stessa. Il sake invece cambia gusto e colore, ma poco importa. Comunque, anche questa volta, uscirò dall’izakaya “yopparata”, con la bocca che sa di tofu, con i vestiti impregnati di fumo, con qualche nuovo amico, e forse con gli occhi un po’ a mandorla.

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