Sono arrivato a Malacca con un comodo autobus da Kuala Lumpur. Più moderno e più in orario dei mezzi pubblici italiani, molto più sicuro di quelli indonesiani che ho preso nelle settimane scorse. Ho tenuto gli ultimi giorni del viaggio proprio per visitare Malacca. Ho letto la seguente descrizione, firmata Tiziano Terzani, e ho deciso di venire:
“Bisogna aspettare che cali la sera e, senza far rumore, andare lungo i muri, salire su per una delle colline, sedersi sulle vecchie pietre o stare in silenzio a guardare l’acqua che scorre sotto il ponte di ferro, e la si sente; non forte, non stentorea, ma lieve, quasi gentile, quasi un mormorio, come la brezza: la voce della storia. Malacca è uno di quei posti. Pieno di morti. E i morti bisbigliano. Bisbigliano in cinese, in portoghese, in olandese, in malese, in inglese. Alcuni bisbigliano anche in italiano, altri in lingue che non si parlano più, ma poco importa: le storie che i morti di Malacca raccontano paiono non interessare più a nessuno.“
L’ultima frase faceva intendere quello che avrei trovato, o meglio quello che non sarei riuscito a trovare. Ad ogni modo facevo scalo in Malesia, volevo visitarne almeno un pezzetto. Malacca è stata la prima scelta.
La città mi sembra pulita, ordinata. Certo, arrivo dall’Indonesia, dalle pensioni con i topi intorno alla piscina, ai ristoranti con i topi che mi corrono sotto i piedi. Infatti, la pulizia di Malacca si ridimensiona quando ordino un riso fritto con verdure al ristorante.
Mi sistemo nella vecchia China Town, la zona più caratteristica. Passeggio in cerca di morti e di bisbigli, mi fermo a guardare l’acqua passare sotto al ponte. Nulla. La voce della storia non bisbiglia più. Forse i morti di Malacca sono stati talmente ignorati che anche loro si sono stancati di raccontarle al vento dello stretto, ai pirati che non ci sono più.
Cosa rimane a Malacca? Una bella cittadina turistica, qualche bella zona, qualche resto della dominazione portoghese.
Turisti ne vedo pochi. Forse non solo le storie ma la città stessa non interessa più. Dai tempi che racconta Terzani ad oggi è nata Singapore, lì a due passi. Vanno tutti lì, o a Kuala Lumpur, trascorrono qualche giorno nella città sfavillante e poi proseguono. Malacca è abbandonata a sé stessa. Io rimpiango di non potere cogliere la sua storia autentica, ma sono soddisfatto di esserci venuto di persona. Mi faccio incuriosire dai guardiani dei mille templi del quartiere cinese, ne faccio un servizio fotografico, mangio l’ultimo riso fritto prima di concludere il mio primo viaggio in Oriente.