Discesa del fiume in barca
M’imbarco a Miandrivazo. La piroga è un’imbarcazione ricavata scavando un tronco di legno. I fianchi sono lisciati dall’acqua e dal tempo. Qualche toppa messa alla meno peggio in qualche modo la tiene insieme. La mattina un piccolo filo d’acqua zampilla da un piccolo foro sul fondo, poi il sole scalda il legno e il getto improvvisamente si ferma. Scivoliamo lentamente, spinti da una corrente impercettibile. Tre giorni interi di navigazione, su un fiume che scorre limaccioso e melmoso. Mi riparo sotto il cappello di paglia, aspettado i rari refoli d’aria che portano via qualche goccia di sudore che gronda dal mio viso. Il sole batte sulla testa su un fiume che ha un corpo ma non ha ombre. Disegniamo linee sinuose in mezzo alla pianura del Menabe, fuori dal mondo, dalle linee telefoniche, da cavi elettrici e mezzi meccanici. L’unico rumore è quello dell’acqua. Mi sono unito ad una coppia di francesi, e un viaggiatore bergamasco unitosi nella notte prima della partenza. Un uomo che ama vagare da solo per il mondo. Quando cammina nelle Patrie montagne si tiene fuori da comodità e rifugi attrezzati, preferendo il dormire in grotte naturali che trova tra le rocce. I 35 gradi del sole malgascio gli fanno un baffo. Io invece continuo a sudare, tracanno acqua che diventa presto calda come té.
Ci accampiamo in riva al fiume. I bambini spuntano subito dal nulla, ci corrono incontro per giocare e curiosare osservando le nostre strane facce pallide ma simpatiche.
L’acqua è vita. Vita per la gente, per gli uccelli e per i coccodrilli. La guida mi avverte di lavarmi stando vicino a riva, perché in mezzo al fiume potrebbe nascondersi una sorpresa lunga cinque metri e con parecchi denti vogliosi di masticarmi.
Ho pensato che esagerasse un po’, ma la mattina successiva passiamo a pochi metri da un alligatore che si dimena vicino alla riva. La notte è passata con un vento che quasi ha strappato via la tenda, già lacerata dal tempo. L’organizzazione è decisamente spartana. Il materassino sul quale dormo di giorno funge da sedile sulla piroga. Ha un odore a cui faccio fatica ad abituarmi, specie la notte quando ci poggio la testa. Decido di non cambiare la maglietta in questi giorni. Puzzerò anch’io, di sudore misto repellente per insetti tropicali. Forse questo mix aiuterà a tenere lontane le zanzare che ronzano nella tenda.
Il senso del tempo si perde negli orologi che non ci sono. La giornata è scandita dall’alba e dal tramonto, e il lento scorrere delle piroghe lungo lo Tsiribihina.
Il viaggio prosegue in una dimensione vacua, in un paesaggio uguale, in un sole uguale. Sembra quasi di non muoversi. Ma è proprio quello il fascino. Scendiamo il fiume per 130 km senza nemmeno accorgerci. Dobbiamo portare tutto con noi, anche delle galline vive. Il primo giorno sono due, il secondo una, e il terzo sono finite. Nelle nostre pance.
Le giornate scorrono lente come il fiume. Le donne raccolgono l’acqua e la portano al villaggio con i secchi in equilibrio sulla testa, mentre noi continuiamo a scivolare verso Morondava.
Quando arriviamo all’ultimo villaggio mi sono ormai affezionato a quel fiume. Vorrei potere continuare. Mi siedo in silenzio davanti all’ultimo tramonto. Il fiume ormai non è lontano dal mare e prosegue quasi immobile, come osservasse anche lui quella pace rilassante.
Abbandono le sue acque e arrivo al villaggio su di un carro tirato dai buoi. Trovo sistemazione in una capanna di bambù, che la sera si copre degli scarafaggi più grandi che io abbia mai visto. Un topo corre sul tetto di paglia e io mi chiudo nella zanzariera come un baco nel suo bozzolo di seta. Posso però farmi la doccia con due secchiate d’acqua sulla testa e finalmente mettere una maglietta pulita. Quella che mi sono tolto ha un colore e un odore troppo intensi per tentare un lavaggio. La lascio lì, nel villaggio sulle rive dello Tsiribihina.
Organizzare la discesa in barca del fiume Tsiribihina
Non avevo organizzato la discesa del fiume prima del viaggio. Mi trovavo in una pensione di Antsirabe, quando parlando con il proprietario ho capito la fattibilità dell’escursione. Mi hanno messo in contatto loro con la guida e gli altri interessati per la partenza la mattina successiva. Credo sia il modo più semplice ed economico, cioè l’organizzare sul posto.
Mi è stata fornita la barca con vogatore, e l’equipaggiamento necessario (tenda e cibo), per quanto estremamente spartano.
La discesa del fiume non ha rapide, non richiede nessuna tecnica o esperienza pregressa. In merito alla sicurezza, ho saputo a posteriori che in periodo di crisi del Madagascar anche in quella tratta ci sono stati assalti alle piccole comitive che scendevano sul fiume. La gente nei villaggi invece è sempre stata di ottima ospitalità.
Il tempo sospeso e lento come il fiume limaccioso, le galline, compagne di viaggio dal destino segnato, il senso di nostalgia che già si insinua nella contemplazione dell’ultimo tramonto in riva al fiume: grazie per questo coinvolgente resoconto!