Il diario del viaggio in Kamchatka è uno dei capitoli del mio libro “RACCONTI DAL GRANDE NORD, viaggio alle alte latitudini“
Sono atterrato a Petropavlovsk con un volo Aeroflot, operato da una sotto-compagnia che lo ha subappaltato ad una terza. L’aereo è vecchio, i sedili consumati e i video su ogni sedile sono spenti. Petropavlosk, alla prima impressione, sembra al confronto di altre città come il vecchio aereo in confronto ai modelli nuovi.
La stanza d’hotel non è particolarmente pulita, alla reception parlano inglese ma al bar/ristorante no. La cameriera non fa nulla per venirmi incontro. Se ne sta di fronte a me in attesa che le dica cosa voglio. Io ho un viaggio di due notti in aereo alle spalle, 10 ore di fuso. Mi servono un piatto molto risicato nelle quantità e nel gusto. Esco per le strade e cammino sul marciapiede, passando al fianco di edifici trascurati, parchetti mal tenuti in un’atmosfera di incuria generale. Sfilano al mio fianco autobus e camion logori, che ammorbano l’aria con i loro miasmi tossici. Continuo a camminare in cerca del centro che non c’è. Petropavlovsk è un agglomerato urbano disordinato e sparpagliato su diversi chilometri. I condomini sono per lo più eredità comunista, tutti ugualmente brutti. Il centro lo si può definire tale soltanto per la statua di Lenin che capeggia nel mezzo di una piazza poco attraente. Più avanti scorgo dei cartelli marroni con alcune indicazione turistiche, che portano ad alcuni monumenti di poca importanza, almeno guardando lo stato in cui sono presentati e conservati. Continuo verso il porto, dove grosse navi arrugginite sono ormeggiate su lunghi moli di cemento. Il cielo è grigio, a volte cade una leggera pioggerellina. Io vago senza idea di cosa visitare o fare. Mi fermo in un angolo dove i bambini corrono in un piccolo parco giochi e gli adulti aspettano parlottando chiusi dentro ai loro cappotti.
Sono contento di scappare via nella natura selvaggia della Kamchatka, senza pensare che avrò quasi altri due giorni nella capitale a fine viaggio. Non ci penso perché Petropavlovsk proprio non mi piace. Non sono mai stato così a disagio in una città durante un viaggio. Alla fine comunque ci torno. Tappa obbligata.
Scopro che, se la si guarda da un altro punto di vista, può mostrare un cuore che batte. Bisogna essere fortunati: trovare una giornata limpida dove i vulcani svettano maestosi dietro ai tetri quartieri sovietici, scoprire la poco visibile passeggiata che costeggia il mare e si affaccia sulla baia con le montagne sullo sfondo, e salire in cima alla collina la sera. Se qualcuno vi mostra questi luoghi, potete scoprire qualcosa di affascinante. Nemmeno la cima della collina è indicata in alcun modo. Bisogna percorrere una strada anonima in un quartiere anonimo, passare in mezzo ai palazzi e continuare sulla strada sterrata che sale a tornanti stretti. In cima ci sono dei paracadutisti che aprono i loro parapendii e si lanciano prima del tramonto. Le loro siluette danzano contro luce mentre il sole illumina la città e le lande della Kamchatka. Petropavlovsk dall’alto non è più così brutta. Appena al di là dei quartieri di palazzoni grigi, inizia subito la natura incontaminata. Da dentro non la si riesce a scorgere, mentre dall’alto appare chiaro che l’uomo ha conquistato solo un piccolo lembo di una terra indomabile. Mentre il sole tramonta dietro all’orizzonte iniziano a brillare tutte le luci. Tutto intorno le colline si fanno sempre più buie fino a scomparire nell’oscurità. Nel mare scintillano tremolanti le luci delle poche imbarcazioni ancora in giro. Ora potrei dire Petropavlovsk ha il suo fascino.
Poi scendo dalla collina inciampando un po’ nelle buche invisibili, arrivo alla strada principale dove due ubriachi parlano ad alta voce camminando in equilibrio precario, salgo sul minibus e mi trovo in mezzo a facce all’apparenza poco raccomandabile, e torno all’impressione del primo giorno. Ora però ho visto entrambe le facce della medaglia e posso decidere quale scegliere.