Ho viaggiato in Giappone più volte. L’ultima a Okinawa. Ho notato subito uno strano tipo di sakè in una vetrina, con due serpenti ammollo in un grande barattolo. “Non lo berrò mai”. Credo anche che non lo rivedrò più, forse è una curiosa invenzione di quel negoziante, invece è proprio una delle specialità di Okinawa: l’Habushu, il sakè con il serpente velenoso della zona. Il sakè viene preparato annegandoci dentro il serpente vivo, cercando una tecnica in modo che il serpente risulti alla fine in una posa accattivante, cioè con la bocca spalancata e i denti in vista. Se ciò non succede si mette un bastoncino in legno che tiene le fauci spalancate.
La mia vita dei miei viaggi in Giappone sì è consumata nelle Izakaye, i pub giapponesi. Entro, mi siedo al bancone e finisce che faccio notte.
“Toriaezu nama” significa “L’unica cosa che voglio è birra”. I giapponesi mi sentono e scoppiano a ridere. Diventiamo amici, le birre scorrono una dopo l’altra.
Il sakè col serpente c’è in tutte le izakaye di Okinawa. Lo guardo, ma ordino birra. Non ho fatto i conti con la notte di capodanno. Ai giapponesi delle feste per la sera del 31 importa poco, piuttosto vanno al tempio il primo gennaio e lì passano la mattinata celebrando con il rito tradizionale. Io trovo però un izakaya con alcuni giapponesi intenti a festeggiare. Bevo con loro cinque birre e tre sakè. Poi arriva la proposta indecente: un bicchiere di Habushu? Il barman apre il tappo e ci ficca dentro un piccolo mestolo. Il serpente ammollo è già macerato, varie squame galleggiano alla deriva. Una squama del serpente è finita dentro, lì nel bicchiere davanti a me. Io sono già ubriaco. Bevo tutto in solo sorso, squama inclusa. Disgustoso? No. Buono, anzi oishi, come si dice in giapponese.
Secondo la leggenda locale, il sakè col serpente è un potente afrodisiaco.
La mattina successiva mi sveglio in preda ai fumi dell’alcool, vado al tempio di Naha per festeggiare l’anno nuovo. Una lunga e intensa giornata. La sera sono di nuovo all’izakaya. La vedo lì dietro al bancone, un’altra bottiglia di habushu. Non resisto. Lo voglio provare da sobrio. Il sakè questa volta è limpido e senza pezzetti di serpente in giro. Non ci penso troppo. Il signore al mio fianco intanto ride. Non parla inglese ma mima l’effetto che dovrebbe fare. Lui è già ubriaco, altrimenti non oserebbe mai. La ragazza di fianco a me al bancone si gira dall’altra parte, rossa dall’imbarazzo. Ma poco importa, ancora poco tempo e saremo tutti alticci. Nuovi brindisi, nuove birre, nuovi bicchieri di brandy giapponese.
E domani finirà allo stesso modo: entrerò in una izakaya e ordinerò un habushu.