Il diario del viaggio in Groenlandia è uno dei capitoli del mio libro “RACCONTI DAL GRANDE NORD, viaggio alle alte latitudini“
Ho sentito un boato nella notte, dalla mia tenda nel fiordo di Qaleraliq. Un colpo potente e sordo. Il fiordo finisce lì vicino, disegnando un semicerchio alla base della calotta polare. C’è un muro di ghiaccio a strapiombo sull’acqua. Non è compatto come lo si potrebbe immaginare. Guglie di ghiaccio si stagliano contro il cielo, ammassate una dietro l’altra, la parete a picco sul mare è un groviglio di crepe, linee, forme instabili. Ogni tanto un blocco si stacca e cade fragorosamente in mare. Crea un piccolo tsunami, si rigira su stesso in cerca di un nuovo equilibrio. Sempre instabile. E’ così che si formano gli iceberg. Quello che affondò il Titanic iniziò la sua rotta in mare aperto proprio dalla Groenlandia. Galleggiano alla deriva apparentemente dormienti, immobili. Dentro però ci sono tensioni enormi pronte a esplodere. L’iceberg si muove, il contatto con l’acqua erode la sua base, apre crepe dritte al suo cuore. All’improvviso, un giorno, la sua base si è consumata troppo. L’iceberg si rivolta su se stesso, o si spezza.
Da una montagna di ghiaccio se ne formano due, che si rovesciano nell’acqua in cerca della propria dimensione. Ora sono due, tra un po’ forse 4, poi 8, 16, e così via, fino alla morte di ogni singolo pezzo per scongelamento, o per riscaldamento globale, che ne accelera sia la nascita che la morte.
Mi sveglio la mattina in preda alla curiosità. Corro giù fino alla spiaggia. Forse un grande iceberg sta sfilando come un transatlantico in partenza da un porto. Invece no. Si è spezzato subito in mille pezzi. Il ghiaccio non deve avere retto l’impatto con il mare dopo il distaccamento dalla calotta polare. Mille briciole di iceberg hanno vagato nella notte lungo il fiordo, e il vento le ha fatte spiaggiare tutte proprio vicino alle nostre tende. Mi armo di macchina fotografica e inizio a scattare. I cuccioli di iceberg non hanno un grande futuro davanti a loro. Si scioglieranno lentamente sotto al sole, per me freddo, per loro rovente.
I caribù passeggiano intorno, noncuranti di questo dramma di ghiaccio. Ci sono blocchi trasparenti, altri bianchi, alcuni dalle venature blu. Qualcuno è monolitico, qualcuno composto da infiniti cubetti di ghiaccio che stanno insieme in un gioco di crepe e cubetti, qualcuno dalla forma di un animale o di quello che la mia fantasia può associargli. La marea li ha depositati come in un’esposizione, poi si è ritirata e loro sono rimasti tutti lì, in una splendida e agonizzante mostra del ghiaccio.
Tra pochi giorni andrò ad una delle fonti di iceberg più produttiva della zona, nel fiordo di Qoorooq. Lì si staccano enormi blocchi che poi proseguono lungo i fiordi. Arriveranno fino al mare. Il più grande ha la forma di una grande nave. Quello che vedo io è il 10{3b70773b31d594d7f4479695f32700f06eb0f9aaeeb96ff7ff881d03070c4a2a} che emerge, il che significa che tutto interno è più grande di qualunque nave io possa immaginare. Vorrei seguirlo e aspettare che si spezzi, che si capovolga, che mostri la vita che c’è in quel ghiaccio, e continuare al suo fianco finché si sciolga nel mare. Non ne ho il tempo, ma sono contento di essere lì, prima dell’estinzione di tutti gli iceberg, la cui acqua sommergerà le città costiere del mondo che si è accorto ma non si è fermato. Amen.