Atterro all’aeroporto di Amman non ho ancora un piano su dove andare. Pensavo mi sarei chiarito le idee ai aereo, o durante lo scalo notturno a Beirut dove trascorso la notte su una panchina nei duty free. Ma i pensieri sono andati altrove, e così eccomi qui, di prima mattina da qualche parte nella Giordania. L’aeroporto è quasi a metà strada tra la capitale Amman e il Mar Morto. Non ho deciso se visitare Amman all’inizio o alla fine del viaggio. L’autobus che va alla capitale non c’è, o io non riesco a trovarlo. Si avvicina un tassista:
“Dove vai?”. Rispondo d’istinto: “Mi puoi portare a Madaba?“
Affare fatto. Il taxi non è che una logora automobile color ruggine. A dire il vero, ruggine non è solo il colore. Inizia il viaggio. Conto sui mezzi locali. Per il Mar Morto però il bus non c’è. Resta il taxi, ma io sono solo. Vado in cerca di compagni di viaggio. Busso alla porta di un paio di hotel e trovo subito due francesi che come me ci andranno il giorno dopo. Affare fatto. La cosa funziona è così ci riprovo per il primo tratto della strada dei Re. Un beduino porta e altri due francesi fino a Dana. Ha vissuto da beduino per più di mezza vita prima di spostarsi in città. Prima andava a prendere l’acqua al pozzo con l’asino, ora è vestito di tutto punto, guida una macchina e manda messaggi con il telefono cellulare.
A Dana finiscono le mie tratte in taxi. La mattina risalgo il canyon a piedi. Mi ritrovo ancora lungo la strada dei Re, ma lì non ci sono stazioni di autobus. Alzo il pollice. Non ci metto molto a trovare un passaggio. I Giordani sono felici di portarmi, ma la benzina si divide. Pago qualche dinaro e l’affare è fatto.
Da Petra al deserto del Wadi Rum immagino file di autobus turistici o chissà cosa. Invece nulla. Questa volta salto sulla carrozza di un gruppo di olandesi, e per tornare ci penserò. Finisce che torno al centro visitatori al margine del deserto senza un mezzo né un passaggio. Sta per fare buio e io solo lì da solo con il guardiano. Mi porta in salvo un eccentrico australiano e il suo autista privato. Per tornare a nord cambio mezzo, finalmente mischiato con i giordani comuni. Gli autobus, o meglio dei piccoli pullman, ci sono. Capire come funzionano non è però così semplice. La mia prima stazione c’è, ma non si vede traccia di un qualunque mezzo. Mi aggiro in cerca di informazioni. Un autista conferma che in effetti l’autobus oggi non parte. Con me però c’è una signora e uno studente. Così prendiamo il bus più piccolo del mondo, cioè una macchina. Io l’autista, la donna e il ragazzo. Per un pugno di dinari mi portano a destinazione. In realtà non è la mia destinazione, Al Karak, ma un’altra città. Da qui troverò un autobus, mi rassicura l’autista. La stazione qui brulica di mezzi e di gente. Mi sistemo su un piccolo autobus addobbato di stoffe viola. La regola d’oro è che un uomo non può sedere vicino ad una donna che non sia sua moglie. E visto che i viaggiatori sono spesso senza la famiglia al seguito, inizia il balletto dei posti. Ci sono sedili doppi e singoli. Io dovrei sedermi vicino ad una signora sul posto doppio. Cerchiamo una donna sul posto singolo che si sposta e il gioco è fatto. Ma poi sale un’altra signora, che ammicca al mio sedile singolo. Allora io mi alzo e cerco un altro posto doppio con un uomo. Poi salgono altri passeggeri e il gioco delle tre carte continua. Finisce quando il bus è pieno e non ci stiamo più. Allora noi del pullman piccolo andiamo su quello grande e quelli del pullman grande, che sono in meno, vengono su quello piccolo. Saliamo e iniziamo a sederci. “Attento, non sederti lì che ci mettiamo lei” dice uno. “Sì, ma se lei va lì dove mi siedo io?” replica un altro. Alla fine si parte. Nessuno mi può fermare. Al Karak sto arrivando.
Scendo dall’autobus e… il famoso sulla collina non c’è. Faccio il giro su me stesso a 360 gradi, il castello è sparito. L’avevo visto nel viaggio verso sud, non è una cosa facile da nascondere. Brancolo nel buio fino fino a scoprire la cosa più ovvia: non siamo ad Al Karak. Il perché non lo so. Devo prendere un ultimo bus. Ormai so tutto. Salgo e mi metto sull’ultimo sedile in fondo, quello da 5 posti, il più ambito ad ogni gita della scuola. Il ragazzone seduto vicino a me attacca bottone e insiste decisamente per pagarmi il biglietto.
La tappa Al Karak ad Amman è più lunga di quelle percorse in precedenza. Mi aspetto un’altra giornata a zig zag tra i paesini della Giordania, nuove conoscenze e scambi di sedile. Invece l’autobus corre dritto fino alla capitale, negandomi così un ultimo giro in giostra. Peccato!