Forse non c’è molto da aggiungere a tutto quello già scritto, già detto, già fotografato delle Cliffs of Moher, sulla costa ovest irlandese. Andare in Irlanda senza sapere che esistono è come andare al mare senza sapere che troverete l’acqua.
Cliffs of Moher
Allora cosa posso scrivere io di questo luogo? Un’immagine, un’emozione, e un consiglio.
Tutti abbiamo visto mille immagini delle scogliere a picco sul mare. Sappiamo che ci si può sporgere sulla scogliera e guardare giù verso il baratro. Io invece racconto della mia prima visita. Sono stato fortunato. Una ragazza stava seduta sul prato, un po’ spostata rispetto alle scogliere, sulla passeggiata che porta a vederle da più lontano, di profilo. Suonava l’arpa celtica, e la melodia, quasi impercettibile da lontano, diventava una musica sempre più viva. Mai nitida, sempre un po’ rarefatta, portata in giro disordinatamente dalle folate di vento. Mi sono fermato lì vicino, affacciato dove il prato finiva, verso la scogliera, con il vento che mi sferzava la faccia, mentre le note dell’arpa continuavano a fluire. Quell’immagine è quello che per me è diventata l’icona dell’Irlanda. Ogni volta che ci sono tornato (cinque per ora), sono andato a cercare il vento in faccia di fronte all’oceano.
Non ho ritrovato l’arpista, ma poco importa, perché le melodie celtiche ormai le ho con me. E la sera mi sono andato ad ogni occasione a chiudermi in un pub ad ascoltare le session di musica tradizionale. E lì, sulle note danzanti del folk irlandese, mi rivedo sulla scogliera con il vento dell’Atlantico in faccia, e le note dell’arpa che mi circondano. E anche quando io suono musica irlandese nei pub a Milano, ci sono alcune melodie che in automatico mi riportano lì, sulle Cliffs of Moher. Posso chiudere gli occhi e suonare in quel sogno.
Tornando alla realtà, la seconda volta che ho visitato le Cliffs of Moher era pomeriggio inoltrato, e il sole stava correndo velocemente verso l’orizzonte. Sono arrivato lì che la gente era già andata via tutta, gli autobus già ripartiti. Anche l’ufficio dei biglietti era chiuso. Il grande vantaggio non è stato però il non pagare l’entrata, quanto trovare un’inaspettata pace e silenzio, proprio nel momento di luce migliore della giornata. Ho atteso il tramonto con il solito vento energico, vivo, instancabile. Avevo una stanza a Doolin, lì vicino. La sera c’era una sola cosa che potevo fare. Andare al pub più frequentato, ordinare una Guinness e reimmergermi nel sogno sulle note delle melodie celtiche.