Di Pechino avevo negli occhi due immagini: lo smog che ricopre tutta la città in inverno (forse ormai non solo più in inverno), oppure la gente che suda sotto ai 40 gradi dell’estate.
Arrivo a Pechino una mattina splendida, fresca e con il cielo blu. Mi sembra un sogno. Mi sistemo in una pensione a nord della città proibita e inizio la mia esplorazione.
Finisco nei vecchi quartieri, gli hutong, dove la gente mangia per strada davanti alle proprie case, dove per un attimo riesco a immaginare la Cina prima della sua industrializzazione.
Sono fortunato che mi infilo in alcuni hutong non riportati sulla guida, perché quelli sono quelli ristrutturati, un museo per i turisti, dove c’è pulizia e ricchezza. A me interessa la parte più autentica, e non è difficile trovarla nemmeno quasi in centro. Pechino non è Shanghai, i grattacieli occupano solo una piccola parte della metropoli, che dal centro sfuma in un agglomerato urbano enorme. Nell’area vivono oltre 40 milioni di cinesi.
Visito subito la piazza Tienanmen, che percorro tutta da una parte all’altra. Una distesa di cemento al cui confronto piazza San Marco a Venezia è minuscola. Davanti alla piazza c’è la città proibita e una folle folla di gente che cerca di entrarci.
Non ho altra soluzione che accalcarmi anch’io in mezzo alla bolgia umana in attesa di entrare. Una volta dentro la folla si distribuisce e posso godere della vista dell’interno del palazzo imperiale.
Esco dalla città proibita e posso ributtarmi in un’altra bolgia, quella della metropolitana dove tutti spingono e tutti si schiacciano nei vagoni che trasudano aglio. Non esistono file, priorità, nulla. Chi spinge di più passa avanti, e chi è avanti deve pressare per non essere scavalcato da chi pressa da dietro.
Trovo il mio posto preferito a Pechino nel tempio del cielo. Ci arrivo la mattina presto, quando la folla non è ancora arrivata. Mi attrae la sua forma sinuosa, la pace che regna intorno.
Pechino: tempio del Cielo
Il giorno successivo invece lo dedico al Palazzo d’Estate, il giardino imperiale con una storia di 800 anni.
La giornata non è delle migliori, ma i cinesi non si scoraggiano e affitanno le barche per girare nella nebbia.
Le mie serate a Pechino sono sempre al lago Houhai una zona che mi ricorda i miei navigli di Milano, dove invece che i canali che un lago circondato di locali e ristoranti. Mangio all’aperto davanti ai fiori di loto della riva del lago, poi passeggio sulla riva, mentre dai locali si diffondono gli echi della musica dal vivo di ogni genere. Finalmente Pechino mostra un lato artistico, rilassato, dove la gente non corre e non si accalca al limite dell’umano.
Ci torno a fine viaggio e l’incantesimo è finito. Il cielo è grigio e invisibile, l’aria via via più irrespirabile. Vado via tenendo le immagini della città al mio arrivo.