Cambogia – In barca da Angkor a Battambang

 

Cambogia Tonle Sap

Il fiume Mekong fuisce per migliaia di chilometri attraverso l’Asia, dalle vette del Tibet fino al sud Vietnam. Scorre per quasi 5000 chilometri, attraversa mezzo continente fino a sfociare nel mare, tinto di un marrone vivido.

Il suo affluente Tonle Sap è un fiume unico al mondo. Defluisce dall’omonimo lago Tonle Sap e si getta tra le acque del Mekong. Fino a quando, una volta all’anno, cambia idea e inverte il senso della sua corrente. Esce dalle acque del Mekong e torna indietro verso il lago. Sì, sembra impossibile, ma è proprio così. In realtà non è una scelta libera, bensì il grande fiume che durante la stagione delle piogge s’ingrossa al punto tale da ricacciare indietro il suo affluente. Il Tonle Sap è un fiume non sa da che parte deve scorrere. Gira come una bandiera al vento. E’ allo stesso tempo immissario ed emissario del lago. Nella sua lenta e strana corsa, crea canali e paludi, s’insinua attraverso la pianura bagnando villaggi e palafitte. Sulle sue rive brulica la vita. Tutti assoggettati alla corrente a senso alterno, alle volontà del Mekong e delle sue piene. L’acqua è tutto da quelle parti: quel fiume è la vita, la strada, il bagno, la lavastoviglie e la lavapiatti. Una sorgente e uno scarico.

M’imbarco a Siem Reap dopo avere passato quasi una settimana tra i templi di Angkor. Le barchette sono cariche all’inverosimile. Persone che portano sacchi e oggetti, e turisti che si intrufolano in mezzo alla vita locale. Usciamo dal lago e andiamo verso il Mekong, seguendo la corrente che sta andando nel senso giusto, cioè verso il mare. La mia barca è già piena prima che io possa salirci. Mi sistemo con altre persone sul tetto, seduto sul mio zaino. Navighiamo in un ampio canale passando attraverso villaggi sulle palafitte. La gente e i bambini ci salutano il nostro passaggio mentre la bandiera della Cambogia sventola a prua. La navigazione per un po’ procede veloce e senza intoppi, fino a che il Tonle Sap scorre come un fiume vero e proprio. Poi, avvicinandoci al Mekong, il corso d’acqua si perde in un groviglio inestricabile di canali in mezzo alla vegetazione. Lo skipper cerca di evitare le piante. Quando non ci riesce, cioè quasi sempre, una piovra vegetale si aggroviglia all’elica e non la molla più. Si prova a tornare indietro qualche metro cercando di liberarsi dalla sua morsa. Deve intervenire un secondo uomo che districa la matassa a colpi di machete. La barca procede arrancando e inclinandosi sui lati. L’equilibrio diventa precario e sul tetto siamo in troppi. Io devo scendere e mi metto dietro, in piedi vicino al motore, che sbuffa un ritmo sincopato, fastidioso e incessante. Bang, bang, bang. Annuncia a gran voce la mia fermata, Battam-bang. Intanto gatti morti galleggiano alla deriva. Le palafitte sono sperse ora qui e là senza più dei villaggi veri e propri. I pescatori issano le reti, barchette e giunche solcano l’acqua e si infilano nella vegetazione della palude.

Siamo partiti prima dell’alba e arriviamo quasi al tramonto. Io però poi non tornerò indietro aspettando la piena del Mekong. Proseguirò via terra. La mia strada non sarà più di acqua ma di polvere rossa.

–> Foto e racconto del viaggio in Cambogia

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