Il telefonino trilla. Vibra sul tavolo, una prima e una seconda volta. Poi vibra di nuovo, due o tre volte di fila. È in fibrillazione. Le notifiche si sovrappongono impazzite. Non riesco più a contarle. Apro la posta, gli sms, il messenger, whatsapp. Tutti insieme. Sono pronto ad una doccia dorata di auguri. Voglio il calore degli amici vicini e lontani. Chissà quanti messaggi, quanti buoni propositi, quanti motivi per festeggiare. Sono già felice.
Inizio a leggere.
“Auguri”. Punto. “Auguri”. Punto. “Auguri”. Punto. “Auguri”. Punto. “Auguri”. Punto. “Auguri”. Punto. “Auguri”. Punto. “Auguri”. Punto. “Auguri”. Punto. “Auguri”. Punto.
Messaggi a valanga in chat di gruppo, messaggi collettivi, broadcast a tutta la rubrica. Il telefono continua a vibrare. Io continuo ad aprire e leggere.
“Auguri”. Punto.
Milioni di telefonini squillano, centraline e satelliti impazziti trillano in un’eccitazione digitale furibonda. Smistano una miriade di auguri che gli uomini si stanno scambiando. Ma è sempre lo stesso messaggio:
“Auguri”. Punto.
Auguri copia e incolla, freddi come rufoli di vento invernale. La vita corre a ritmi talmente stressanti che non si ha più tempo nemmeno nelle feste. In realtà non è vero. Non si ha il tempo per le cose che non si vogliono fare. Ci siamo chiusi nei nostri io, nei nostri piccoli mondi dai grandi problemi.
Dove siamo andate a finire? La modernità ha distrutto le emozioni fino a questo punto?
Io apro di nuovo le chat. C’è una montagna di auguri affastellati, che non so più nemmeno se sono per me, se li ha scritti un amico o una “app” meccanica che ricorda il compleanno o la festività. Non so più se devo rispondere o no. Ci siamo arrivati. Nel 2000 il messaggio per il compleanno o la festività parte in automatico. Freddo come una freccia di ghiaccio, come una goccia di pioggia gelata che picchia contro il vetro.
“Auguri”. Punto.
Auguri per cosa, auguri perché? Cosa mi augurate? Lo voglio sapere.
Forse la “app” c’è già. Ditemelo, il messaggio me lo sta mandando in automatico il vostro telefono. È il vostro i-phone che sta scrivendo al mio galaxy. Allora installo anch’io una “app”, che risponda in automatico al messaggio, e che poi lo cancelli direttamente. I telefoni si faranno gli auguri al posto delle persone. Il delirio della società moderna che delega anche i rapporti personali a una serie di bit inviati via etere.
Prendetevi un minuto, regalatevi un momento per le persone a cui volete bene o a cui volete dire qualcosa. Prendetevi il bello di festeggiare. Con calma.
Scrivetemi se siete troppo lontani, invitatemi fuori se siete vicini. Altrimenti, non fate nulla. Un messaggio costa energia e produce CO2. Combustibili fossili, inquinamento e surriscaldamento globale.
Vi prego. Quest’anno, se volete farmi gli auguri, scrivetemi qualcosa di personale. Scrivete il mio nome almeno. C’è perfino nel messaggio di auguri della Fastweb, di Amazon, di Enel Energia, della compagnia di assicurazioni, dell’agenzia delle entrate. “Auguri Marco”, il messaggio automatico è meno freddo del messaggio umano. Si prende la briga di scrivere il mio nome. Mi sta facendo auguri più caldi un computer che una persona.
Io voglio stringere mani, abbracciare amici, guardare occhi mentre brindo. Sorridere. A questo servono gli amici. Sono disposto a girare per Milano come una trottola impazzita, bere spumante fino ad ubriacarmi, brindare fino a non riuscire più a sollevare il braccio. Voglio farlo di persona. Siamo ancora esseri umani, e non anime alla deriva in uno smart phone.
Fate gli auguri a me, non al mio Samsung.