Racconto di viaggio – Flores e Corvo – Trekking e bicicletta
Quanto avevo bisogno di questo viaggio!
L’avevo aspettato a lungo, prenotato già per Pasqua e rimandato all’ultimo minuto. Poi mi sono distrutto la caviglia e avevo quasi perduto le speranze una seconda volta.
Alla fine, ancora con qualche dubbio, sono partito, ed è stata la decisione migliore che potessi prendere. Quando mi sono lanciato nel primo trekking ho vissuto pura euforia. La costa occidentale dell’isola era spazzata dal vento e scrosci di pioggia, mentre a est splendeva un sole quasi rovente. La terra scintillava di verde, mentre l’oceano riluceva un blu cristallino. Flores, l’isola dei fiori. Che purezza, che colore! Mi sono sentito in pace con me stesso e con il mondo intero.
Immergersi in quei colori mi ricarica di energia e di vita. Forse non è un caso che casa mia ha una parete gialla, una rossa, una verde, le piastrelle azzurre e un armadio arancione. Vorrei colorare tutti i muri della città con i secchi di vernice, come diceva una vecchia canzone. Le Azzorre sono così: un tripudio cromatico.
Mi sono spostato poi a Corvo. Un vulcano e un villaggio, lì inizia e finisce l’isola.
In genere, la si visita in giornata con un’escursione in barca. In tale paradiso in terra, volevo starci di più. Sentivo che aveva di più da darmi che una fugace visita per due foto da cartolina, così mi sono fermato 4 giorni. L’aereo è grande quanto un autobus e io ero l’unico turista. L’hostess mi ha raccontato le istruzioni di sicurezza nell’orecchio. Sono durate più del volo stesso. Ero anche l’unico ospite della pensione. Mi hanno messo a disposizione una bicicletta, a mio rischio e pericolo perché la salsedine non risparmia nulla e l’ha completamente aggredita a suon di ruggine (alla fine, come temevo, i freni sono saltati, per mia buona sorte proprio alla fine dell’ultima planata verso il villaggio).
Per due giorni ho cercato di capire come arrivare sul punto più vertiginoso del vulcano. Nel primo tentativo ho seguito il crinale, ma senza alcun sentiero non mi sono fidato a percorrerlo tutto. Lì, in mezzo all’oceano, le nuvole si materializzano dal nulla. Per alcuni giorni avevo osservato Corvo da Flores, e l’isola non si era mai liberata del suo denso cappuccio nuvoloso. Poi, fortuna sfacciata, con il mio arrivo è apparso anche il sole. Il secondo giorno ci ho provato da dentro al cratere. Due pastori, a cui ho chiesto qualche dritta, hanno cercato di farmi desistere dall’idea. Poi però mi hanno rivelato una possibile via per salire. “Se te la senti e se hai le gambe…”. Fermo da un mese e mezzo, forse le gambe non le avevo, ma era tale la mia gioia che il mio corpo era leggero quanto il mio spirito. Ho risalito un canalino nel pendio, che diventava via via più impervio e ripido, aggrappandomi ai sassi e ai ciuffi d’erba. Arrivato al culmine, all’improvviso, si è aperto uno dei paesaggi più strabilianti che io abbia mai visto: all’interno del cratere due laghetti placidi e tranquilli, all’esterno la scogliera che precipita sull’oceano da 700 metri di altezza. Una bellezza travolgente e terrificante. Ho continuato la mia camminata intorno ai laghi, mangiato un panino vicino alle mucche mentre alcuni tori, poco lontano, s’incornavano. Poi mi sono lanciato in discesa con la bicicletta, sull’unico lato dolce dell’isola, giù fino al mare. Il tramonto puntualmente infiamma Corvo. In quel momento il vento cala e le onde, che prima si abbattevano rabbiosamente sugli scogli, si acquietano. Il ristorante, l’unico, è affacciato sull’oceano, vicino ai vecchi mulini a vento. Si mangia benissimo e io, veramente, non avrei potuto chiedere nulla di più da questo luogo.
Il racconto potrebbe finire qui. Purtroppo, c’è una nota amara, che irrompe sempre più spesso nella scena. La lascio in coda al video. Sarebbe stato più poetico glissare e raccontare solo il bello, anche perché ho forse montato il video meglio riuscito dei miei viaggi, ma non si possono più chiudere gli occhi di fronte a certi problemi. La Terra è un pianeta fantastico e dobbiamo preservarlo. Per noi e per chi verrà.