Bago non è cero la cittadina più bella della Birmania (Myanmar). Un reticolo di strade polverose attraversato da una statale dove il traffico non si ferma mai. Rimediamo una stanza in uno degli hotel affacciati sulla strada. Il letto cede, le lenzuola sono macchiate e il bagno è arrugginito. È la nostra base per andare alla roccia d’oro (golden rock).
I birmani vanno in pellegrinaggio tutti gli anni se possono permetterselo, e le festività per il nuovo anno sono uno dei momenti clou anche per loro. Il risultato è che Kin Pun, un villaggio altrimenti di poche anime, è un formicaio di gente che va e viene, bus di tutti i tipi entrano ed escono dal centro, dove un disordinato mercato brulica di commercianti e distratti compratori. I turisti sono pochi, e si perdono nella folla locale. Per andare da Kin Pun alla roccia d’oro si devono prendere dei camion adattati al trasporto passeggeri.
Ogni mezzo porta diverse decine di persone compresse come animali. Alla stazione c’è una confusione tremenda, e i camion vengono presi letteralmente d’assalto. Noi ne vediamo un paio riempirsi prima ancora di tentare d salirci sopra. Al successivo mi arrampico da dietro e con una mezza capriola riesco a issarmici sopra conquistando due posti alle spalle di due monaci. La strada corre a tornanti sulla collina. Il nostro autista procede a velocità tale che noi ci aggrappiamo alle sbarre, mentre i birmani urlano ad ogni curva con i capelli spettinati dall’aria. Ci vogliono circa 45 minuti al limite della sopportazione. Il fiume di gente continua ora a piedi. Chi non riesce a camminare viene portato su una sorta di barella da quattro persone. Il tutto a piedi scalzi perché, come ovunque in Birmania, non si entra con le scarpe in un luogo sacro.
La roccia d’oro non è enorme come la si vede in cartolina, ma rimane lì in un equilibrio al limite del soprannaturale, sul monte Kyaiktiyo.
La gente prega, la tocca, ci attacca foglioline d’oro vendute lì di fianco, accende ceri e prega in un rituale mistico, che si sfuma nella nebbia delle candele e degli incensi.
Solo gli uomini però possono accedere alla roccia d’oro, mentre le donne possono solo avvicinarsi senza entrare nell’ultimo cancello. Le donne, nel ciclo della vita e delle reincarnazioni buddiste, sono un gradino sotto agli uomini. Per andare alla roccia d’oro dovranno comportarsi bene e reincarnarsi uomini.
La leggenda dice che la roccia d’oro stia in bilico sostenuta da un capello di Budda. In cima alla roccia c’è una pagoda dorata alta sette metri che conserva una ciocca di capelli di Budda.
Lungo la strada la gente vende cibo e oggetti di ogni genere, oltre a raccogliere quasi forzatamente offerte ai pellegrini, che cedono volentieri dei soldi per ingraziarsi (o più probabilmente anche solo per non fare adirare) le divinità. Io non capisco bene il perché in quanto il buddismo non prevede una divinità da pregare, e tendo a pensare che anche lì le parole di un profeta visionario si siano trasformate in strutture dorate, rituali e indulgenze gestiti bonzi belli pasciuti. Ma sia chiaro, è soltanto una mia impressione.
Intanto un signore birmano mi spiega la tradizione del loro capodanno, da lì a breve, dove le famiglie festeggeranno per tre giorni giocando a buttarsi acqua addosso. Lui ha un buon lavoro e parla inglese, un privilegio nell’ex regime militare. È vestito di eleganti pantaloni e giacca. Viene in pellegrinaggio alla roccia d’oro tutti gli anni con la famiglia. Provo a chiedergli qualcosa del cambiamento dopo la caduta del regime militare ma cambia discorso. Forse è ancora troppo presto. Intanto, mi reggo forte al camion per arrivare sano e salvo alla base. Da lì ci aspetta qualche ora per tornare a Bago e poi una notte in intera in bus verso il lago Inle.