Non avevo previsto Bali nel mio viaggio in Indonesia. Ho un biglietto di sola andata dalla Malesia, per il ritorno non so ancora, voglio tenermi l’itinerario il più libero possibile. Non dovessi piacermi Giava, potrei sempre saltare su Sumatra oppure nel Sulawesi. Bali non l’avevo pianificata. Poi però mi trattengo a lungo su Giava, decido arrivare fino quasi all’estremo est dell’isola, e da lì è molto più semplice proseguire per Bali che invertire la rotta.
Ho pensato di non includere Bali per la sua nomea di luogo di vacanza da villaggio, famoso per le spiagge, le discoteche, droga, prostituzione. Anche di bombe, da quando una discoteca frequentata da australiani è esplosa nel 2002.
Bali però è un’isola spettacolare, lussureggiante, con paesaggi molto variegati, dal vulcano ai templi al mare cristallino. Inoltre è un’isola induista nel mezzo di un Paese musulmano.
Decido di stare lontano dal mare, dalle spiagge, dal rischio di trovarmi troppo vicino ai villaggi vacanze. Me ne vado a Ubud, nel centro dell’isola. Mi ricorda un po’ San Pedro de Atacama, un’oasi dall’atmosfera freak in mezzo al deserto. Trovo anche qui molti turisti, ristorantini eleganti e servizi di ogni tipo, impensabili nel resto dell’Indonesia. C’è anche il Budda bar per chi vuole mangiare zen.
Ne approfitto per noleggiare un motorino e scorrazzare in giro, visitare il templi nei dintorni, la grotta dell’elefante. Dal secondo giorno cambio mezzo e noleggio una bicicletta. Destinazione: le risaie a terrazza, in agosto nel momento migliore, quando il verde esplode rendendo magico questo l’ambiente. Passo un paio di giorni a pedalare sui sentierini. Il caldo sotto al sole è tremendo, ma i ragazzini/contadini locali hanno già trovato il modo di arrotondare il risultato del loro lavoro nei campi. Quando il turista arriva in bicicletta grondando sudore da tutti i pori, probabilmente già un po’ disidratato, ti presentano una grossa noce di cocco, con due colpi di machete aprono un foro in alto, e te la porgono davanti alle tue labbra che ardono dalla sete. Per me è una manna dal cielo.
La sera a Bali si può anche assistere alle danze tradizionali kecak, la danza delle scimmie, basata sul Ramayana, in cui uomini imitano delle scimmie dai poteri soprannaturali, danzando alzandosi in piedi e poi sdraiandosi ondeggiando le braccia urlando dei versi ripetuti in modo quasi ipnotico.
La mia permanenza a Bali si conclude con un’immagine talmente poetica che difficilmente potrò dimenticare. È il mio ultimo pomeriggio con la bici tra le risaie. Il sole è vicino a tramontare, i colori sulla collina sono al massimo del loro splendore. Sto risalendo un sentierino stretto e ripido tra i campi, faccio una curva e mi trovo davanti ad una capanna di contadini. La ragazza si sta lavando al torrente che corre a lato della risaia. Sta lì a torso nudo, vestita di una sola gonna che le arriva alle caviglie. Si sta lavando le braccia, mentre io arrivo ansimando mentre pedalo in salita. Lei si gira verso di me con tutta calma, mi guarda e mi sorride, mentre il sole le illumina i lunghi capelli che gocciolano scintillando sotto la luce del tramonto. Io continuo a pedalare. Rallento fino quasi a fermarmi, rispondo al sorriso. Solo allora noto, di fronte alla capanna, una vecchia donna senza denti e un ragazzino. Anche loro mi sorridono. Non ho il coraggio di fermarmi a scattare una foto. Ma non ce ne è bisogno. Quell’immagine è un quadretto che rimarrà sempre con me. Riprendo a pedalare.