Arrivo a Yogyakarta dopo una tappa a Kuala Lumpur. La capitale della Malesia, pulita e scintillante, non è esattamente quello che mi aspetto dall’Oriente. Atterro su Giava, esco dall’aeroporto e capisco subito che ho trovato quello che cercavo. Salto su un tuk-tuk e scorrazzo per la cittadina in cerca di una pensione. Yogyakarta mi fa sentire subito rilassato, con me stesso e con la gente del posto. Eccolo l’Oriente che cercavo. E non ho ancora visto quasi nulla. La vita è tutta in strada. Non ci sono megastrutture, auto con i vetri oscurati. Basta passeggiare per le strade e si è in mezzo alla gente, alla vita locale. Le “agenzie” sparse nella zona delle pensioni organizzano dei tour in giornata per visitare i dintorni. Ne approfitto per il tempio di Borobudur. La partenza è fissata l’indomani alle 4 del mattino. La mia sveglia non suona, e il ragazzo della reception mi butta giù dal letto dicendo che sono in ritardo.
Io non ho ancora smaltito il fuso orario, le 4 di notte sono per me le 10 di sera. Mi devo alzare proprio quando dovrei andare a dormire. Salgo sul minibus con il corpo rivoltato e la testa pesante. Ma non voglio perdere per nessun motivo l’alba a Borobudur. Intanto il minibus mi sballotta sul sedile. Ci arriviamo e io non sono ancora sveglio. Mi trascino giù. Davanti a me si para un colosso grande quanto quasi una piramide egizia. Una montagna di blocchi di pietra portati lì e incastrati uno con l’altro in un incredibile puzzle, senza cemento, senza malta, senza nulla. Un lego di roccia in mezzo alla pianura di palme.
La struttura è quella di un mandala buddista, su nove livelli con oltre cinquecento statue del budda e non so quanti stupa.
Dimentico il sonno arretrato, il fuso e tutto. Salgo gli scalini, fino a raggiungere la punta in alto, dove mi ritrovo oltre la nebbiolina posata sulla pianura ammantata di palme. Il mio sguardo si può protendere fino al vulcano Merapi, la montagna di fuoco, uno dei vulcani più attivi e pericolosi di tutta Giava. Il sole sorge proprio dietro al cratere che fuma. Rimango immobile fissando il panorama, mentre i raggi di sole filtrano dipingono la cartolina di rosso e blu. Un’alba mistica, magica, oltre qualunque mia aspettativa.
L’Indonesia, e in particolare l’isola di Giava, è un brulicare di esseri umani che vivono freneticamente. Ma alla prima luce del sole nascente intorno a Borobudur tutto è ancora in silenzio, fino a quando la nebbiolina libera le palme e il vociare della gente si mischia ai clacson dei motorini che sollevano cortine di polvere sulle strade. Rimango lì fino a che dura l’incantesimo dell’alba. Per oggi non farò altro. Passeggerò distrattamente per Yogyakarta, con l’alba su Borobudur ancora negli occhi. Solo domani continuerò con il tempio Prambanan e il resto.